Il valore del cibo

Spesso diamo per scontato la presenza del cibo nelle nostre dispense, sulle nostre tavole.

Ci siamo così tanto allontanati dalla Natura da non riconoscere più la grande varietà dei suoi frutti, da non conoscere più la stagionalità degli alimenti.
Difficilmente nutriamo rispetto per la Terra e le rendiamo grazie per i doni che ogni giorno ci offre.
Abbiamo a disposizione enormi quantità di cibo eppure la nostra alimentazione è sempre più impoverita.

Torniamo in cucina, ai fornelli. Evitiamo cibo confezionato, industriale, prodotto per essere venduto più che mangiato. E prepariamo con amore il cibo che andremo a consumare, ringraziando chi quel cibo l’ha coltivato, raccolto e lavorato.

Cuciniamo e onoriamo il cibo, ogni giorno.

A seguire un estratto del testo di Carlo Petrini “Terra Madre – come non farci mangiare dal cibo”, per ricordare il valore del cibo e la sua sacralità.

“Se voglio mangiare bene sono un elitario, se rispetto la tradizione sono ancorato al passato, se seguo regole di buona ecologia sono noioso, se guardo all’importanza del mondo rurale sono in cerca di bucoliche sensazioni…
E’ difficile parlare dell’importanza del cibo e dell’agricoltura, del valore di saper produrre e consumare alimenti in maniera sostenibile, senza incappare in simili critiche, più che altro figlie di luoghi comuni.
Il mangiare per svariate ragioni è sempre più al centro dei nostri pensieri e dei nostri discorsi. Ma più che piacere e gioia – come dovrebbe- genera incertezza, inquietudine, ansie, paure: l’atto tra i più indispensabili per la nostra sopravvivenza diventa un problema.
Il mangiare nel mondo di oggi è attraversato da continui paradossi. Fame nel mondo e malnutrizione, insieme alle pandemie planetarie dell’obesità e del diabete, sono facce della stessa medaglia. Pretendiamo la qualità, ci lamentiamo che costa cara, e poi spendiamo gli stessi soldi in junk food o banali prodotti di consumo. Seguiamo programmi televisivi che propinano ricette tutto il giorno ma non siamo più capaci di cucinare. Abbiamo a disposizione tutta la quantità di cibo che vogliamo e poi sudiamo duramente per dimagrire, mentre chi lotta per salvaguardare razze e varietà in via d’estinzione, per promuovere il buono che c’è ancora nelle nostre campagne e per educare al piacere del cibo, è bollato come un elitario.

Il cibo è il nostro legame più profondo con il mondo esterno, con la Natura: mangiare ci rende parte di un sistema complesso che gli antichi descrivevano come “il respiro della Terra”.

E’ il metabolismo ciò che distingue gli esseri viventi da quelli inanimati. Noi abbiamo un metabolismo, ciò che mangiamo ha un metabolismo, la terra ha un metabolismo. Tutti i processi vitali sono profondamente collegati fra loro. Forse le radici del problema stanno in un modello di sviluppo che ha preso il sopravvento in tutte le attività umane, rispetto al quale anche il cibo non è sfuggito alle regole. Con l’industrializzazione e il primato di una visione riduzionista e meccanicistica, ha trionfato il consumismo: siamo diventati l’homo consumens.
L’uomo si è convinto di essere fuori dal ciclo naturale, di poter disporre della Natura a suo piacimento e, in virtù della fiducia nella propria capacità di poter produrre qualsiasi cosa, ha pensato che anche la produzione più intimamente legata al mondo naturale potesse sottostare a queste leggi.
Il cibo si è trasformato da elemento vitale, identitario, da miracolo della natura che si trasforma in cultura, in un prodotto come gli altri che risponde a tutte le leggi del consumismo: da quelle di mercato fino a quelle dello spreco.
Il nostro retroterra, fatto di saperi pratici, di conoscenze tradizionali e ancestrali, di capacità di vivere in sintonia con la Natura, è stato improvvisamente cancellato e dimenticato, come quando si butta via il bambino con l’acqua sporca. Ma non è stato soltanto il patrimonio culturale tipico delle società rurali ad essere spazzato via dalla modernità. E’ stato proprio il nostro rapporto con il cibo, il significato del predicato verbale “ mangiare”, a subire un taglio netto rispetto alla continuità di ciò che è sempre stato nella storia dell’uomo. L’anello di congiunzione tra noi e il mondo che ci circonda, che tiene insieme il complesso sistema della nostra esistenza, si è spezzato. Per questa ragione le società tradizionali, che con spirito olistico – per di più inconsapevole – vivevano e vivono ancora questa dimensione in maniera proficua, hanno molto da insegnarci e ciò a prescindere dal loro grado di modernità e ricchezza.
Mangiare oggi genera incertezza, ansie e paure perché pretendendo di tenere la Natura fuori dalla sfera umana, abbiamo finito con l’estromettere anche il cibo, dimenticandoci il significato di un’azione che compiamo almeno tre volte al giorno tutti i giorni. La produzione e trasformazione degli alimenti è uscita dalle nostre case per essere demandata a soggetti terzi, non ne possediamo più i segreti e, non conoscendoli più, dobbiamo comprarli con il denaro, come comperiamo tutto ciò che ci serve, o crediamo ci serva.
Il cibo oggi è prodotto soprattutto per essere venduto, non per essere mangiato. Ridurre il nostro rapporto con ciò che mangiamo quasi esclusivamente a una serie di operazioni di mercato è sia la causa sia l’effetto di un sistema che ha tolto valore al cibo e ha tolto significato alle nostre vite. Un sistema che ha stravolto il significato del verbo mangiare, trasformandolo da attivo in passivo per molti cittadini della Terra.”

Carlo Petrini – “Terra Madre, come non farci mangiare dal cibo” – Slow Food Editore

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